Eternal Champion – Ravening Iron (Sword Worship Records, 2020)

Eternal Champion – Ravening Iron (Sword Worship Records, 2020)

Novembre 14, 2020 Off Di fr3ng

Chiedetevi: in che modo un gruppo epic metal potrebbe mai diventare di culto per la scena hardcore punk? In che modo può essa mettere in discussione la sua rigidità, i suoi cliché e pregiudizi e rivendicarsi band profondamente out-of-scope come gli Eternal Champion?
Nel caso specifico il motivo è da ricercare in primo luogo nella line-up. Gli Eternal Champion sono infatti un progetto composto da gente che ha già lasciato un’eredità importante nell’ambito hardcore/crossover. Basti pensare a band particolarmente influenti come Iron Age e Power Trip, che a modo loro hanno reinventato il modo di concepire e di suonare certa musica. Basti pensare ad Arthur Rizk, che prima di essere il batterista degli Eternal Champion è uno dei produttori/fonici più conosciuti nell’underground contemporaneo (Cold World, King Nine, Code Orange, Cavalera Conspiracy, Mizery, Power Trip, Trapped Under Ice, War Hungry, Iron Age ecc…).
In secondo luogo, la ragione è a mio avviso da ricercare nel sound, che affonda sì le radici nell’epic metal e nell’heavy metal classico, però rielaborando la soluzione e spogliandola di eccessivi virtusismi ed elementi barocchi, rendendola quindi più fruibile per orecchie più grezze come le nostre.

Il disco Ravening Iron arriva in un momento tragico per la scena musicale texana, orfana in poche settimane prima di Riley Gale (cantante dei Power Trip) e poi di Wade Allison (chitarrista degli Iron Age e in principio proprio degli Eternal Champion).
L’album conta otto brani per trentasette minuti complessivi di musica ed è un concentrato di epicità heavy metal, spade, scudi, corni potori, riff ipnotici.
Ravening Iron prosegue sulla scia del precedente e bellissimo The Armor of Ire, anche se i suoni sembrano essersi incattiviti e gli arrangiamenti semplificati. Ci sono diversi riferimenti ricorrenti in entrambi i dischi, sia nei testi che nelle musiche e questo fa pensare che le due produzioni appartengano a una specie di saga. Bellissima la chiusura del disco, che riarrangia, nel brano Banners od Arhai, le note di Shade Gate, ovvero l’outro del disco precedente (The Armor of Ire, appunto).

La cover art è bella pacchiana e in linea con il genere e raffigura una donna seminuda, forse una guerriera e/o una regina, seduta su un trono e circondata da teschi umani, draghi e serpenti. Davanti a lei c’è (probabilmente) il suo alter ego incatenato e senza braccia.

Concludendo, Ravening Iron è un gran disco, senza dubbio tra i migliori di questa sciagurata annata. Le melodie entrano in testa con una semplicità disarmante e le canzoni scorrono piacevolmente grazie anche alla lunghezza non eccessiva (quattro/cinque minuti in media), se comparata con i canoni del genere.